Associazione EX-ALLIEVI del  G. Ballardini-Faenza

I Tesori del "BALLARDINI",

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 2/4/2012, 10:19     +1   -1
Avatar

Agostino Salsedo

Group:
Administrator
Posts:
447
Reputation:
0

Status:


blu20



jxK7Gh


x04spo


I TESORI DEL BALLARDINI:



dal Campionario al M.I.S.A.: 90 anni di studio e conservazione

Quando da ragazzetti scorrazzavamo su e giù per le scale, nei laboratori, nella grande Aula Magna e nei mille anfratti di palazzo Strozzi, non ci rendevamo conto del patrimonio che ci circondava, dell’importanza che avevano tutte quelle ceramiche riposte un po’ ovunque: nelle vetrine, appese o cementate al muro, accatastate nelle cantine.Tutto questo po’ po’ di roba era invece un museo vero e proprio, ad ognuna di quelle ceramiche corrispondeva una scheda ben precisa, un numero di inventario, un registro di carichi e scarichi, un attento controllo (oggi useremmo dire monitoraggio) degli spostamenti, esposizioni, insomma della vita del tale o tal altro coccio. Sono passati i decenni, la scuola ha avuto traslochi, ristrutturazioni, si sono avvicendati presidi ed amministratori, sono cambiati insegnanti, bidelli, assistenti, corsi didattici. E chi più ne ha più ne metta. Le ceramiche invece sono ancora lì, sempre più accatastate negli scaffali, che gridano la voglia di essere studiate, analizzate, fruite, almeno guardate. Per rendere più scorrevole la fruizione di queste paginette, divido il testo in due parti: la prima riferita alla consistenza del Campionario e alla sua “situazione anagrafica” (schedatura ecc), la seconda più riferita ai contenuti artistici e tecnologici, in sintesi “cosa c’è nel Campionario”, cosicché il lettore possa scegliere ciò che più gli aggrada.


KhQYiu



PRIMA PARTE

BREVE RICOSTRUZIONE CRONOLOGICA E FASI DELLE SCHEDATURE

A questo punto è doverosa una breve cronistoria. L’Istituto mosse i primi passi già nel 1916 come Scuola Serale ma solo nel 1919 venne istituita ufficialmente la Regia Scuola Ceramica di Faenza. Gaetano Ballardini, da subito direttore, raccolse ogni anno alcuni pezzi, ritenuti particolarmente pregevoli o comunque significativi della produzione didattica. La collezione cominciava ad essere cospicua e nel 1925 fu così istituito il REGISTRO DEL MUSEO CAMPIONARIO (così almeno supponiamo a guardare i timbretti di datazione apposti sulle schede). Da allora ogni anno una commissione apposita sceglie un numero ristretto di elaborati ritenuti i più significativi (solitamente dai 10 ai 20), pochissimi se pensate alle diverse centinaia di oggetti realizzati in un anno dagli studenti. Oggi, dopo oltre ottant’anni di vita della nostra Scuola, il gruzzolo ammonta a oltre 1800 opere conservate.


kfnrbq




La schedatura

Era impossibile pensare ad una sistemazione di tutto il patrimonio ceramico dell’Istituto senza una schedatura completa di tutte le opere. Se questa è stata possibile lo dobbiamo soprattutto all’opera encomiabile del Maestro Mario Zappi che meticolosamente schedava ogni vasetto, ogni piatto, già dai primi anni ’20. Nel 1957 poi tutte le schede scritte a penna e calamaio vennero dattiloscritte e rinumerate. Grazie al collega Rino Casadio l’intera schedatura fu ripescata e ricomposta nel 1989, quando, durante l’ennesimo cantiere in corso stava per finire nella fossa delle macerie. In quell’estate quattro studenti che percepivano borse di studio elargite da enti esterni, si barricarono nelle cantine della scuola e schedarono, secondo criteri più completi messi a punto da Casadio, oltre 1000 oggetti che erano là riposti. Non dimentichiamo che nel 1983, l’allora nuovo Preside Rolando Giovannini aveva già fatto fotografare buona parte dell’intera raccolta del Campionario. A seguito ebbe inizio la definitiva schedatura informatica del Campionario, eseguita dal sottoscritto (progettata da Gian Paolo Emiliani e Roberto Ossani), da diversi studenti borsisti e da obiettori di coscienza tra i quali fu determinante l’apporto di Fabio Schiumarini . I pezzi inclusi in campionario sono oltre 1800, partono da 1918, fino all’ultimo anno scolastico 2006-2006. Ogni pezzo è stato schedato secondo varie voci e chiavi di ricerca (Autore, anno di esecuzione, tecniche, iconografia, materiali, stato conservativo ecc.), fotografato, ripreso con telecamera. Per 1800 volte abbiamo dovuto prendere, pulire, portre in sala posa, ricollocare.


oqmv4l





Oggi:

Oggi la schedatura è sommariamente completata ma deve essere interamente rivista e corretta. Oggi 1830 immagini sono in un CD e facilmente fruibili. Oggi la selezione di opere per mostre, rassegne, presentazioni ecc. può essere fatta senza dover passare ore in cantina a spostare pezzi ammassati. Negli ultimi anni vi sono state già numerose tesi, ricerche, articoli, che hanno incentrato la propria attenzione sul Campionario, finalmente oggetto di studio e di fruizione. Oggi l’ente pubblico è fortemente impegnato (anche economicamente) nella ristrutturazione dei locali che ospiteranno il Museo dell’Istituto: quel sogno che serbavamo da vent’anni si va pian piano realizzando.

I06Hhr



SECONDA PARTE

COSA E’ IL CAMPIONARIO

Gaetano Ballardini già dai primi anni di istituzione della scuola volle conservare alcuni pezzi più significativi della produzione didattica di ogni anno scolastico: badate bene, non necessariamente i più belli, ma quelli importanti, degni appunto di guadagnarsi un’aura museale. Nel 1925 inizia la numerazione e schedatura delle opere messe da parte : questa raccolta venne sin dall’inizio denominata “MUSEO CAMPIONARIO”. Durante tutto il secolo una apposita commissione ha, di anno in anno, trattenuto quella decina di pezzi più importanti, non senza discussioni, perplessità, decisioni sofferte. Oggi la raccolta è composta da 1830 ceramiche, prevalentemente provenienti dai corsi artistici o in taluni casi anche significativi per le caratteristiche di innovazione tecnologica o di riproducibilità seriale.


KJvyC0




IL MUSEO CAMPIONARIO VISTO DA DENTRO: INFORMAZIONI, CONSTATAZIONI, EMOZIONI

Non solo cronologia.

Gli stimoli, le informazioni, le suggestioni che la raccolta può suscitare sono molteplici come differenti possono essere le chiavi di lettura, i modi di approcciarsi ad essa. Prioritaria, già in fase di schedatura è stata la visione cronologica: la possibilità di visitare l’operato di quasi un secolo di Istituto in base allo scorrere del tempo, alla successione degli anni e degli avvenimenti. Senz’altro l’approccio cronologico è importante e insostituibile: offre la possibilità di accorgersi delle scoperte, delle innovazioni, delle contaminazioni, del susseguirsi dell’influenza dei vari maestri sulla didattica e quindi sulla produzione di arte. La schedatura effettuata però offre altre possibilità: scandagliare il Campionario per tipologie formali, (es. Servizi, Sculture, Piatti, Vasi, Pannelli, Formelle ecc.), iconografie (paesaggi, composizioni astratte, figure zoomorfe ecc), tipologie tecnologiche (porcellane, gres, terracotte smaltate ecc), tecniche esecutive (serigrafie, terzo fuoco, decori a pennello ecc), fonti anagrafiche (es. opere di Biancini, Djatò, Valentini, Zauli ecc). Certamente queste possibilità sono utili in ricerche bibliografiche per tesi o altro, in preparazione di mostre a tema, in indagini storiografiche in genere. Non possono però prescindere da una visione comunque cronologica che deve essere acquisita a monte da ogni fruitore, dal miglior esperto di beni culturali al ragazzetto che cerca stimoli per le proprie esercitazioni scolastiche.


GdMjZU



“La scuola dei Maestri”

La scelta del criterio di lettura non fu semplice quando, otto anni addietro, gli insegnanti curatori della mostra “La Scuola dei Maestri” (Faenza p.zzo delle Esposizioni, autunno 1995, catalogo “Faenza Editrice” (nota 2)), si trovarono a progettare la fruizione di questa esposizione, come avrebbe potuto essere visitata e vissuta, che taglio dare ad una mostra d’arte che non tradisca l’aspetto didattico. Dobbiamo sempre renderci conto che collezione didattica è e rimane, al di là della bellezza e del pregio artistico di quella o quell’altra opera. Vi sono centinaia di musei che conservano collezioni e si occupano di ceramica, dai principali musei del mondo agli armadi delle sagrestie di campagna: non è con questi che dobbiamo “competere”, paragonarci; credo invece che proprio in quanto collezione didattica, cioè di opere prodotte da allievi, la nostra, in campo ceramico, forse sia, senza alcuna presunzione, la raccolta più importante del mondo. Ricordo che in quelle discussioni, su come concepire la mostra e il catalogo, alcuni (tra cui decisamente chi vi scrive) optavano per una metodologia appunto cronologica; altri però erano decisamente refrattari a questa impostazione e preferivano aree tematiche, argomenti affrontati o soggetti e oggetti delle rappresentazioni. Ne uscì, grazie in gran parte all’intelligenza mediatrice del collega Gian Paolo Emiliani, un percorso cronologico diviso però per ambiti di ricerca: una lettura quindi che avviene in ordine di tempo ma può anche soffermarsi su isole di approfondimento che possono debordare dalla rigidità della cronologia.
“Sentieri interrotti” e mostri sacri

Una metafora Heidegeriana per inoltrarci in un viaggio attraverso i meandri della raccolta. Sentieri interrotti perché assai spesso si ha la sensazione proprio di percorsi artistici iniziati, di micce accese, che si evolvono nel corso degli studi. L’ingiuria del tempo, le barriere degli esami di fine corso, a volte eventi di forza maggiore assai più grandi di noi stessi (basti pensare allo scoppio della seconda guerra mondiale), decideranno poi se questi sentieri saranno effettivamente interrotti , o se troveranno proseguo nella vita artistica delle persone. Così potremo vedere opere realizzate da alunni che diventeranno in seguito artisti di pregio e fama internazionale, ed altri dei quali, purtroppo non ne sapremo più nulla. Comincio dai primi perché è più semplice: più semplice ma forse meno importante perché su di loro poi saranno stampati fiumi di articoli, cataloghi, monografie, allestite importanti mostre. Per primo citerò Carlo Zauli, quel leone della ceramica che già alla fine degli anni trenta era bambinetto quando frequentava il nostro corso tecnologico e il successivo corso di Magistero. Non vi sono testimonianze di quegli anni in Campionario perché in questi laboratori venivano eseguite solo prove di carattere tecnologico e chimico fisiche. C’è invece uno dei sui famosi “cubi alati”, opera recente (1994) donataci dall’artista, che ci assicura la testimonianza di un ceramista la cui opera e la cui fama ha travalicato ogni oceano (scheda inf. 476). Analogamente devo parlare di Angelo Biancini, che ha operato nei laboratori di plastica fino alla fine degli anni ’70. Importanti pezzi si affacciano nel cortile storico dell’edificio scolastico: il grande Cenacolo in terracotta smaltata appeso sulla porta d’ingresso dell’edificio nuovo; le sculture cementizie raffiguranti una bellissima Madonna con bambino e una scena collodiana ritraente Pinocchio, il gatto e la volpe.(Attualmente in prestito per fusione bronzea). Ancor più di grandi dimensioni la grande scena in opera cementizia e un’altra Madonna appesi vicino al balcone dell’Aula Magna. Non solo cortile interno, anche nelle raccolte Biancini è testimoniato con due bellissime Vie Crucis (s.405) a formelle in gres rosso, e dalla simbolizzazione dei quattro Evangelisti (s.449,448,357) opera in terraglia forte con vetrine cristallizzate. A tal proposito, la consultazione dell’archivio fotografico, e la memoria di quand’ero studente, mi permettono con sicurezza di parlare di quattro formelle appese al finto pozzo in cemen to del cortile, ma oggi ce ne ritroviamo in mano solo tre (tutte le opere citate sono state realizzate tra il 1950 e il 1970). Ho iniziato con i due nomi oggi più popolari, trasgredendo le buone intenzioni di coerenza cronologica appena decantate: nel periodo anteguerra troneggia la figura di Domenico Rambelli, direttore artistico, docente di plastica sin dalla fondazione della Regia Scuola.

Rambelli lascia molte opere che gli sono state attribuite perché tipiche. La sua personalità caratterizza tutta l’impostazione didattica di tutto il ventennio 1920 –1940. Le numerosissime opere plastiche realizzate, i grandi vasi quasi monumentali in terracotta e oro, oggi conservati in Aula Magna, le tantissime formelle verdastre dedicate ai temi del lavoro o a scene agresti o di vita squisitamente popolare, in parte ancor oggi cementate ai muri dell’edificio, vengono da noi spesso definite “di Rambelli o rambelliane” riconoscendo come inconfutabile il segno e la mano del maestro. Queste opere però recano a volte ben visibile il numero di matricola e di tipologia formale riferito ad allievi che le avevano realizzate, sotto la guida attenta e rigorosa del maestro. Non recano però alcuna firma autografa di Rambelli e,a quanto ne so, neppure sue iniziali. Non saremmo quindi giusti attribuendo vasi e sculture che hanno fatto loro, a Rambelli, del quale percepiamo invece così tutta la sua importanza. Ci rendiamo conto che è assai più prestigioso e culturalmente rilevante, segnare per un quarto di secolo la connotazione stilistica, delineare appunto gli elementi di originalità e riconoscibilità di una scuola, che lasciare in deposito un crocifisso o un vaso. Anselmo Bucci invece, che affiancò Rambelli nell’esecuzione ceramica, da eccellente tecnico della decorazione qual’era, ci lascia in Campionario anche alcuni vasi eseguiti di suo pugno. Strettissima è comunque la correlazione di quei pochi esempi autografi, con i tantissimi pezzi di elevata raffinatezza e complessa artigianalità realizzati dai suoi allievi. Spesso Rambelli faceva progettare le forme e l’iconografia e Bucci si occupava della perfetta trasmissione in ceramica. Parlavo di originalità perché grazie al binomio Bucci-Rambelli la scuola assorbe in pieno la ventata di Art Decò, che, come naturale evoluzione delle stilizzazioni Liberty di fine ‘800, aveva coinvolto la grafica e l’editoria, il tessuto, l’architettura. Difficile era invece creare innovazione nelle botteghe degli artigiani ceramisti, molto relegati al ruolo di imitatori dei tipici motivi tradizionali dell’antica maiolica faentina. L’eccellente livello esecutivo ed artistico, raggiunto dalla scuola sotto la guida di Bucci – Rambelli, rappresenta ancora oggi per noi motivo di stupore, ammirazione, e soprattutto immensa banca dati, fonte di ispirazione e suggerimento nel nostro fare d’oggi. (Nota 3)

Gli “sconosciuti” di allora

Dopo aver parlato di questi quattro mostri sacri posso finalmente tentare di ricordare una infinità di nomi, di persone, di aneddoti ad essi collegati; ex studenti che sono divenuti celebri personaggi dell’arte e dell’industria ceramica, ed altri che hanno preso tutt’altre strade. Molti di questi per me sono motivo di ricordi personali che rivivo con commozione, altri di moccoli tirati nella vita da studente, altri di persone che non sono più tra noi da un pezzo. E qui la cronologia è indispensabile. Il bellissimo vaso a costolature dorate (s.67) che oggi fa bella mostra di sé in una vetrinetta a due metri dalla scrivania del Preside (veniva allora chiamato “vaso marino” forse per le costolature che ricordano i tentacoli di un polipo o le geometrie delle conchiglie), fu realizzato da tal Luigi Biancoli Marticola 2 dell’Istituto (futuro direttore della fabbrica di porcellane di Caravaggio). (nota 4) Nel registro delle iscrizioni, anno 1919, pag.1, solo quattro nomi dopo troviamo una tal Maria Ghinassi, matricola 6. Oggi, novanta e passa anni dopo, la Scuola dovrebbe erigere un busto (a fianco del Ballardini) a questa signora che da bambinetta qual’era, per quarant’anni non si è staccata dalla scuola decorando, con invidiabile maestria, un numero di pezzi incalcolabile, passando poi il testimone dell’arte del decoro a pennello alla carissima Anna Maria Biffi, anch’ella congedatasi dall’insegnamento, ma solo da qualche anno. A questa signora Ghinassi infatti l’Istituto aveva affidato la gestione della produzione della cosiddetta “Officina di produzione didattica”, laboratorio che, pur essendo di grosso stimolo ed importanza per la didattica, gestiva rapporti commerciali direttamente con l’esterno; esperienza che proseguì, credo, fino a tutti gli anni ’50. E’ negli anni ‘30 e ’40 che ella esegue, per commissioni esterne, alcuni servizi da tavola di dimensioni impressionanti e di qualità impeccabile. Il nostro Campionario oggi purtroppo ci può offrire solo alcuni modelli rimasti, ma le fotografie ci testimoniano di quanto il lavoro della Ghinassi fosse intenso: in una di esse, ancora ben nitida, si possono contare, in un unico servizio dipinto “a castelletto”, disposto a terra, ben 278 pezzi. Vorrei citare Virginia Silimbani (matr 17), virtuosa del decoro in rilievo, Ilaro Fabbri (matr.45), Mario Zappi (Matr. 15), Giuseppe Liverani (matr.7). Mario Zappi ragazzetto è quel Zappi che insegnerà decorazione per quar’antanni e del quale ho già decantato le lodi in apertura di questo scritto; Giuseppe Liverani ragazzetto è quel Liverani che dirigerà il Museo Internazionale delle Ceramiche fino alla fine degli anni ’70. Negli anni a seguire, il Campionario ci suggerisce altri nomi di ragazzetti quattordicenni (a volte anche più giovani) che faranno inorgoglire Bucci e i loro insegnanti. Eccezionali le ceramiche realizzate da Giovanna Baccarini (matr. 203) che svetta per l’abilità nella tecnica esecutiva, Serafino Mattucci (matr.259) di Castelli d’Abruzzo, che diverrà un protagonista d’avanguardia nella ceramica italiana degli anni ‘50, Andrea Cascella che, col fratello Michele, diverranno una celebrità della pittura italiana del ‘900, Melisanda Lama, abile decoratrice, che ci ha accompagnato, anche in veneranda età, nei nostri incontri conviviali degli ex studenti, fino a pochissimi anni fa. Lo sviluppo dell’elaborazione Decò lancia i suoi ultimi tentacoli fino al periodo bellico, e anche subito dopo, dove, anche tra i bombardamenti e la paura, non smette di produrre bellezza, come ci racconta il Campionario, nei vasi e nelle opere di Radiana Sangiorgi (matr.370), Antonietta Matteucci (matr. 346), Aida Cimatti (matr. 469), Antonietta Oriani (matr. 547).

Tra i frantumi del disastro bellico, negli anni della coercizione delle menti e del consenso a suon di botte, anche all’Istituto vengono fatti eseguire manufatti di propaganda di regime; anche qui, in qualche modo, si doveva ubbidire. Tant’è vero che quel po’ po’ di genio della cultura e della scienza ceramica che era Maurizio Korach, fiore all’occhiello della Scuola per le sue conoscenze e per la sua esperienza (vedi nota 5), fu rispedito a casa con il benservito in nome delle epurazioni razziali (sbriciolando così quel miracolo di coesistenza che Ballardini aveva saputo organizzare). Sta di fatto che dopo la caduta del regime pare sia arrivato un ordine di distruzione delle opere di propaganda fascista. (Pensate che scemenza!: “Il fascismo è caduto, rompiamo i vasi…”) Purtroppo, quando cadono rovinose dittature, gesti come questi, che al momento appaiono liberatori da un incubo, in realtà non fanno altro che cancellare anni di storia, che censurare ulteriormente; cancellano, con i ricordi della miseria e dei morti, anche esperienze, avvenimenti, percorsi artistici. Questi sì che furono sentieri interrotti, a picconate. E i nostri vasi “incriminati” che fine fecero? E’ probabile che qualcuno di essi nel pattume ci sia finito davvero per accontentare la polizia o i nuovi dirigenti politici, ma Ballardini, furbacchione o eroe non lo so, o forse solo preso da ben altri problemi, da qualche parte li ha lasciati e oggi il Campionario ce li restituisce in modo sorprendente. Così possiamo ammirare due grandi opere dell’allieva Lidia Samorini : il grande vaso in terracotta riposto in Aula Magna eseguito alla fine degli anni’30 che inneggia alla “battaglia del grano” e un pannello maiolicato formato da piastrelle quadrate nel quale in una scena agreste, che oggi percepiamo in maniera un po’ umoristica, i contadini poggiano zappe e vanghe per ascoltare Mussolini che parla alla radio. Una dicitura d’epoca apposta nel retro ci avverte appunto che “i rurali ascoltano il duce alla radio”. Non è stato risparmiato alla censura invece lo splendido pannello d’ingresso raffigurante i principali monumenti delle città romagnole. Oggi, al posto della casa natale di Mussolini e della dicitura “Secondo Impero”, c’è una elegante cornocopia. La sostituzione delle piastrelle è stata eseguita probabilmente dallo stesso Anselmo Bucci nel dopoguerra (o comunque sotto la sua direzione), con una tal maestria che solo la sua scuola poteva avere. Operazione culturalmente criticabile che comunque almeno ha salvato la splendida opera. Probabilmente di fronte a un pannello di tal fattura, nessun politico se la sentì di pretendere la frantumazione; meglio così.Guerra passata, incubi e dolori cedono il posto alle speranze di libertà, anche nella nostra arte, e il Campionario ci regala ogni imprevedibile emozione .

Il dopoguerra, le contaminazioni, le speranze.

Nel dopoguerra si assiste all’esplosione delle ricerche artistiche e le nuove elaborazioni plastiche sono il portabandiera di tanto fermento. Biancini è succeduto a Rambelli nella direzione dei laboratori di plastica e subito si vede come la sua personalità artistica, seppure forte e riconoscibilissima, non condiziona affatto la ricerca creativa degli allievi che, sotto la sua guida si sentono liberi di sperimentare soluzioni formali e cromatiche del tutto personali. Così negli anni ’47- ’49 mentre gli allievi Timo Barnabè (matr. 533), Pier Claudio Pantieri (matr. 638), Maurizio Morigi (matr. 536), lasciano in campionario animaloni e nature morte del tutto biancineggianti, un tal ragazzetto svedese chiamato Hans Hedberg propone forme e decori del tutto a sé stanti che nulla prendono in prestito dalle sculture del maestro. Forme astratte texturizzate che anticipano di un quarto di secolo quella che sarà la ricerca stilistica degli anni a venire. Un bellissimo pesce modellato dallo svedese e decorato solo in bianco e nero, sarebbe senza dubbio originale in una esposizione d’oggi; rovesciate l’oggetto e leggete la data di esecuzione: 1949. Contemporaneamente (1949-’50) spunta un altro studentello che diverrà una delle massime celebrità dell’arte ceramica nei decenni a venire: Gian Battista Valentini dalla nebbiosa Arcore, del quale possiamo godere in Campionario di una decina di pezzi, belli e commoventi, se si pensa al percorso che ha seguito l’artista per giungere alle grandi opere con il quale è divenuto celebre. Il Suonatore di cetra, (s. 173) appeso nello scalone della scuola, è uno dei pezzi più visti e pubblicati della nostra raccolta. Talmente evidente il segno bianciniano che persino in un catalogo il pezzo fu attribuito a Biancini. Invece l’autore fu lui, Nanni Valentini, e fa parte, come ben ci documenta l’archivio fotografico, di una serie di pannelli modellati da una intera classe, sotto la guida del maestro, probabilmente nel 1954. Splendido invece nell’artigianalità è un bellissimo pannello con scene di cavalli e cavalieri che è rientrato finalmente in Istituto dopo anni di giacenza nei magazzini del Museo Internaz. Delle Ceramiche. Oltre a questi, una serie di ciotole e piatti e formelle a figure sempre più stilizzate, fanno presagire che quel Valentini si staccherà un domani definitivamente dal figurativismo.

Dopoguerra di voglia di libertà e quindi finestre aperte a ciò che avviene fuori, alle contaminazioni, agli innamoramenti non solo di casa nostra. La potenza di Picasso non può non giungere anche ai cuori degli allievi di palazzo Strozzi e investe in pieno un altro ragazzetto, questa volta del meridione caldo e assolato, Pino Spagnulo. Picassiano forse ma non per questo non originale e bizzarro; scegliere di dipingere una grande scena di mare con barche,mercanti del pesce e pescatori, su una serie di trafilati: proprio quei tavelloni sin’ora sempre e solo impiegati per costruire soffitti e solai. In una città di tradizione antica, dove la ceramica era soprattutto raffinatissime crespine e vasellami dalle fogge impeccabili, usare dei volgarissimi tavelloni come supporto alla pittura era senz’altro audace e un po’ dissacrante. Si aprì così una breccia nel muro degli stereotipi: di lì a pochissimo il Campionario si riempie di decine e decine di opere ottenute dipingendo mattoni, coppi, pezzi di refrattario e quant’altro potesse essere idoneo o suggerire nuove poetiche, emulando la rivoluzione che in tal senso avveniva oltre oceano con l’avvento dei protagonisti della Pop Art. Questo desiderio di aprire gli orizzonti delle poetiche e delle tecniche esecutive non deve però far pensare a un decadimento di qualità: l’elevata artigianalità delle opere rimane una condizione dominante e proprio Spagnulo ce la fa vedere in quei grandi ciotoloni esposti in Aula Magna, dove i motivi decorativi in rilievo non sono ottenuti modellando il pezzo, ma imprimendoli già allo stampo di partenza, altro modo di sovvertire i sacri insegnamenti (s. 52, 53). Non meravigliamoci dunque se quel ragazzetto di Grottaglie oggi è uno dei principali artisti italiani, e che è senz’altro più facile vederlo alle Biennali di Venezia che non nelle vetrine della nostra Aula Magna. (Del resto è stata proprio dedicata a lui l’ultima grande antologica promossa dal Museo Internazionale delle Ceramiche), in concomitanza della quale in Istituto organizzammo una piccola mostra delle opere studentesche di Spagnulo. (Egli stesso si commosse nel rivederle dopo 45 anni). Il curiosario attraverso gli scaffali e le vetrine dove sono ammassati i pezzi del Campionario, si imbatte in tantissime opere di allievi dei primi anni ’50; la produzione è davvero tanta e moltissimi sono i nomi che dovrei citare, quasi tutti sentieri interrotti.

Pasquale De Carolis (matr.662) lascia vasi antropomorfi con pitture riecheggianti l’opera di Mirò, Domenica Zama (matr. 491) e Maria Sartorelli (matr.661) riprendono la tecnica di Bucci degli smalti a rilievo utilizzandola su moderni decori astratti, con risultati eccellenti (s. 159), Luciano Liverani (matr.626) realizza ancora una coppia di tavelloni riecheggianti i famosi suonatori di doppio flauto greci (s.251), Bianco Ghini (matr. 621) lascia in Campionario un vassoione raffigurante un pavone e un bellissimo vaso scultura di dimensioni piuttosto grandi con decori in bianco e nero ispirati forse a motivi popolari amerindi o comunque etnici (s.21). Di Mario Pezzi (matr. 726) è conservata una splendida scultura boccale con geometrizzazioni coloratissime (s. 9). Cesare Ronchi (matr. 943) ci lascia alcune pentole ispirate a forme popolari: il fascino di un oggetto totalmente estraniato dalla sua funzione quotidiana, che diviene scultura decorata con motivi astratti (s.308).

Ho messo in fila questi ultimi quattro personaggi perché diverranno dagli anni ’60 in poi, colonne portanti dell’Istituto nella gestione dei laboratori di decorazione, formatura e plastica. Mi rendo conto che per citarne alcuni sto omettendo decine e decine di nomi, pazienza; non posso però dimenticare i bellissimi vasi con allegorie di centauri e il piatto abilmente dipinto, ritraente il “Corteo dei Magi” di Benozzo Gozzoli, realizzati da Guido Baldini a metà degli anni ’50. La grande antologica che la città di Rimini gli ha appena dedicato qualche anno fa, rende omaggio all’opera di quello studente che divenne poi anch’egli illustre ceramista. Stavo per dimenticare pure di segnalare due tra i più bei pezzi di tutte le nostre vetrine: uno splendido vaso-uccello di sapore senz’altro sud americano e una donna con bacile in testa il cui corpo è cosparso da minutissimi graffiti primitivi. Li ha fatti Arturo Luna (matr.896), uno studente venuto dall’Onduras del quale purtroppo ho perso le tracce. Un caro ex collega che se lo ricorda bene, mi raccontava che era talmente spiantato, che non ebbe i quattrini per spedire a casa i suoi bellissimi pezzi: vuoi per questo motivo o perché erano già stati adocchiati dalla direzione, essi furono inseriti in Campionario.

1ETVp4




Altro che astri nascenti

La seconda metà degli anni ’50 regala al Campionario alcune presenze davvero eccezionali: prima voglio citare due persone meno note ma importanti: Salvatore Spataro (matr.796) arrivò prima e qualche anno dopo Umberto Pluchino (matr. 967) lo raggiunse. Erano giunti dalla Sicilia dove l’arte della foggiatura “a colombino” era maestra, impiegata nella produzione delle grandi giare (ricordate quella pirandelliana? ci si chiuse dentro un uomo…). Qui da noi, terra di abilissimi foggiatori al tornio e di decoratori sopraffini, era considerata con un po’ di puzza sotto al naso, roba da pastori. Bene, i due “pastori” usavano la tecnica delle giare per modellare grandi sculture, senza avere quindi bisogno di stampi e controstampi. Hanno rivoluzionato non poco il modo di lavorare tant’è vero che oggi non c’è artista ceramista che, se necessiti, non usi questa tecnica. Ci rimane di loro un toro verde turchese e quel bellissimo animale incrocio tra un unicorno, una gazzella o un che ne so, che ancor oggi incanta ogni visitatore che sale lo scalone storico di palazzo Strozzi (s.336). La fama di grandi geni dell’arte l’hanno invece raggiunta Albert Diato e Alfonso Leoni, diversi tra loro, lontani di provenienza e accomunati da un simile destino crudele: entrambi moriranno poco più che quarantenni colpiti da differenti malattie.

Diatò quando venne a studiare a Faenza era già artista carismatico, bravissimo, ceramista poetico, purtroppo amante troppo del tasso alcolico. Basti pensare che era stato Pablo Picasso ad invitarlo a Vallauris anni prima dove fondò un importante atelier. A Faenza realizza probabilmente le più belle opere del Campionario, frutto della conoscenza del materiale e dell’amore per il fascino d’oriente, dato che a Parigi, in quegli anni, in ambiente artistico se ne respirava molto. Modellava con impasti di gres da lui messi a punto nel laboratorio tecnologico che frequentava con assiduità (nota 6). Pensate che da noi fino allora il gres era usato per fare piastrelle e tubi per le fogne (in verità già negli anni ’20 probabilmente Maurizio Korach e Anselmo Bucci avevano messo a punto il bellissimo impasto di gres chiaro con il quale furono modellate le centinaia di formelle con l’agnello e la colomba in rilievo, esposto poi nel 1934 alla Mostra Nazionale di Arte Sacra di Valle Giulia – Roma, ma a parte questo episodio non mi risulta che il gres fosse poi più stato utilizzato nei laboratori di plastica). Il gres diverrà così negli anni a seguito il materiale per eccellenza della scultura ceramica, con il quale Carlo Zauli convisse fino alla fine. Il vassoio a forma di uccello (s.164), i bisonti graffiti (s.172) le bellissime ciotole turchesi (s. 155) e tante altre preziosità, mi ricompensano di tanta fatica spesa in questi anni nella schedatura e nella custodia del Campionario. Alfonso Leoni invece era più giovane e diverse foto d’archivio lo ritraggono mentre modella, forse diciassettenne alcuni dei bei pezzi conservati in Campionario: il Leoni studente, ben diverso dal leone che diverrà, nella chioma e nell’arte pochi anni dopo. Della sua produzione “infantile” conserviamo comunque begli esempi: lunghi vasi a bottiglia e vasi “architettonici” in gres del ’59 -’60 (s.294, 392), che si staccano già decisamente dal capretto totalmente bianciniano e dal pannello policromo del 1957-’58 (s.10, 236). Molto interessanti anche tipici lavori di classe realizzati da suoi allievi all’inizio degli anni ’60 (s. 414) nei quali il lavoro di ogni allievo rappresenta una cellula che compone l’opera.
Carta millimetrata e briglie sciolte (e un’isoletta felice)

Gli anni ’60 sono attraversati da due anime, due differenti atteggiamenti esplorativi: da un lato le rigorose geometrizzazioni dei decori, il sopravvento della modularità nelle composizioni plastiche, le prime esperienze di riproduzione seriale serigrafica, dall’altro una ricerca tipicamente informale, (alcuni oggetti precorrono di ben dieci anni ciò che diventerà abituale negli anni ’70) un totale non rispetto di geometrie limitanti e forme rigide. Nel primo ambito dobbiamo collocare, ad esempio, oggetti di esecuzione sopraffina eseguiti nel 1966 da A.M. Cavazzuti, il grande piattone a cerchi concentrici oggi appeso nell’ingresso dell’ala nuova dell’edificio scolastico, realizzato nel 1969 da Ugo Ugolini, i primi lavori di riproduzione seriale di Franco Savini 1968 o il bel pannello colorato ottenuto con elementi trafilati realizzato da Raffaella Cricca nel 1968. Questo atteggiamento del rigore geometrico era lo specchio della ricezione di ciò che avveniva nel mondo dell’arte e del design a quell’epoca, quando il colosso industriale ceramico italiano era in piena espansione, dove Carlo Zauli e Augusto Betti rappresentavano i mantici, coloro che garantivano l’alimentazione dell’aria esterna, dentro i muri di palazzo Strozzi, e le trascorse esperienze dell’Optical Art lasciavano segni inconfondibili. Non dimentichiamo che proprio in quegli anni viene allestito in Istituto, da Fausto Dal Pozzo, il primo laboratorio di serigrafia con tutta la mole di lavoro che ne deriva.

Parallelamente, come ho accennato, vi erano allievi che reagivano in maniera antitetica, abbracciavano a pieno il gusto dell’informale, delle poetiche di Burri e Tapies, e già dai primi anni ci fanno assaporare l’uragano che più tardi arriverà con il rifiuto dell’accademismo, la gestualità, la pop art di casa nostra e chi più ne ha più ne metta. Tra questi cito Graziano Pompili nel 1961 (matr. 870), che diverrà poi una celebrità e per tanti anni sarà docente di Scultura dell’Accademia bolognese. Eccezionale pure l’opera lasciata da Antonio Liverani nel 1963 (matr. 984), artista che lavorerà in veneto per tanti anni, lasciandoci poi molto prematuramente. In un periodo che sta per affacciarsi al terremoto post sessantottino, dove le briglie sciolte diverranno la bandiera, sull’onda dell’Action Painting, in Istituto si crea un’isoletta di figurazione che sembra essere rimasta, forse per furbizia e forse per ingenuità, del tutto estranea e disinteressata ai terremoti, alla Pop art, alle varie dissacrazioni; mi riferisco alle personcine stilizzate, un po’ fumettose dipinte dalle allieve di Gianna Boschi che trasmette alla sua didattica le poetiche del gioco, delle fanciulle dipinte con tre segni, dei richiami mitologici. Opere del 1961– 62, che si staccano del tutto dai due filoni prima accennati, a conferma della molteplicità dei percorsi e delle sperimentazioni intrapresi in quell’epoca nei laboratori artistici.
Anni ’70: non è questione di avanguardia

Gli anni settanta me li ricordo bene perché sono quelli nei quali ho vissuto da studente al Ballardini. Quando allora vedevamo un compagno (Franco Morini e Luigi Pastore) applicare delle reti da pollaio su grandi piattoni (un accostamento da brividi: la raffinata maiolica faentina avvolta da un rottame di rete per polli!) o un altro appoggiare pezzi di rame che si incastonavano allo smalto in cottura (Fulvio Fusella) , o le mille colature coloratissime o magmatiche, più o meno casuali realizzate nei corsi artistici in quegli anni , (Romano, Ponti, Caroli, Laghi e tanti altri portati per mano da Alfonso Piancastelli e Bianco Ghini ) ci sembravano chissà che, gesti di una trasgressività sbalorditiva, dimostrazioni di coraggio e audacia dissacratoria: l’avanguardia delle avanguardie che dirompe come un uragano nel laghetto azzurro , tranquillo e pieno di ordinate ninfee. Già il presentare le tesi in un cortile, chiacchierando sotto un albero piuttosto che impettiti, dietro alla cattedra della prestigiosa Aula Magna, era vissuto come un po’ azzardato. Parallelamente Alfonso Leoni, già docente e nel pieno della sua potenza, si sbilanciava in performance dove l’argilla veniva travolta dalle auto che passavano su corso Baccarini; Zauli nel ’78 condusse le “Azioni” avvolgendo corpi umani con bende di argilla a mo’ di mummia.

Ma tutto sommato, questi anni dirompenti giunsero un po’ a scoppio ritardato se come cronometro di paragone usiamo la storia dell’arte contemporanea. Alberto Burri, con il gruppo “Origine”, era dirompente, con i suoi sacchi lacerati già nel ’51, mentre Tapies riduce a bruti reperti, esaltandone le poetiche, corde, cartoni, rottami, terre sabbiose alla fine degli anni ’50. (Non guardiamo le acrobazie Dada, altrimenti il salto in dietro è impressionante). Se guardiamo invece il piatto di Toni Liverani citato nel paragrafo precedente, sono passati solo pochi anni dalle esperienze menzionate, e ciò la dice lunga sulle conoscenze e la perspicacia dell’allora allievo faentino – veneto. Così come pure sono quantomai aggiornate le opere che rimandano alle ricerche Op e Cinetiche, se pensiamo che in Campionario sono datate 1962 (Ivana Vignoli) e 1965-‘68 (Lara Zuffa e Muro Pelliconi). In quegli anni Vasarelj e Munari sono all’apice delle proprie ricerche in tal senso, e la grande esposizione di presentazione ufficiale dell’Optical di New York è appunto nel ’65. Si vede allora come proprio l’esplosione contestativa degli anni ’70 (che aveva assai più pretese d’avanguardia) le esperienze comportamentali e le colate più o meno casuali, sono un po’ più a scoppio ritardato rispetto le esperienze citate del decennio precedente. I Combine Paintings erano stati proposti da Rauschemberg già dal ’54, (ma in fondo anche in campo ceramico Leoncillo operava colature su mattoni e magmi fusi già dal 1955). Per questo, quelle che allora ci apparivano spregiudicatezze sull’orlo dell’inaccettabile (siamo a metà degli anni ’70 e oltre), agli occhi di oggi, di chi ha visto un po’ più di cose negli anni, appaiono meno incredibili e mettono in risalto invece l’aspetto umano, quello della passione, della voglia frenetica di esserci, che attraversava l’animo di tanti artistini ancora sconosciuti. In effetti questo dev’essere l’approccio giusto. Stiamo parlando di una collezione di produzione didattica e non ce lo dobbiamo dimenticare. Sarebbe sbagliato confrontare solo le cronologie degli avvenimenti . Non importa se le reti dei pollai erano già state usate vent’anni prima e le colate leoncilliane pure, ciò che importa è che qualcuno vi abbia provato, e che comunque in un contesto di Istituti d’arte, queste esperienze rimangono pionieristiche.

(Poi, perdonatemi la digressione-riflessione, ma tutte le esperienze di cosiddetta “arte totale” che invaderanno correnti e movimenti in tutti gli anni ‘70, ‘80, ’90, e che infarciranno i programmi didattici di tutte le Accademie italiane, dove pittura, scultura, scenografia, sonorità, comportamento, ecc.ecc., vengono amalgamate, fuse, o presentate in stretta simbiosi, dove la specificità delle diverse discipline appare superatissima e si propende per le performances omniespressive, non erano forse state anticipate da 200 anni con il trionfo del melodramma? Non era forse questa l’esaltazione per antonomasia dell’arte totale? Non vi sembra che, fatte le debite proporzioni e considerata la diversità di realtà socioculturale delle due epoche non vi siano poi tante differenze? Del resto, nel teatro dell’antica opera lirica, la gente non stava lì impettita come avviene oggi, dove se uno starnutisce è già imbarazzato, ma banchettava, fischiava, dialogava con gli attori, spesso richiedeva e provocava, insomma interagiva totalmente con lo svolgimento dell’opera stessa, che era sfoggio di bravura canora, ma anche di comportamento, di gestualità, di percezione pittorica, di illusioni ottiche e trucchi percettivi più che mai, e senz’altro anche di riciclo plastico scultoreo di materiali d’ogni tipo. Quindi poi, forse, abbiamo scoperto l’acqua calda).



Comunque, prima di parlare dei nostri giorni, qualche nome lo devo citare: Roberto Bettoli, nel ’79 dimostra come la serigrafia, tecnica di stampa seriale per eccellenza su superfici piane, è invece utilizzabile su superfici mosse, ondeggianti, effettuando la stampa con argille ancora fresche. Un capovolgimento di funzioni (tecniche e materiali rigidamente industriali, messi al servizio della pratica artistica) che era già stato operato da Daniele Sacchetti, Daniele Minardi, Rodolfo Santandrea, Gian Paolo Bertozzi, che sotto l’insegnamento di R. Giovannini, allora docente, e Aldo Rontini, propongono differenti soluzioni maturate comunque in questo ambito.Voglio fare un ultima riflessione sull’attualità o meno delle proposte artistiche raccolte nel Campionario, poi cambio capitolo. Se vogliamo, la produzione che più si presta ad essere definita d’avanguardia, cioè che per prima attribuisce alla ceramica importanza di primissimo piano pur mantenendosi perfettamente al passo con i tempi, con ciò che avviene nell’arte moderna, fuori dalle aule e dai laboratori scolastici, è proprio quella degli inizi, degli anni ’20 -’30, dove Rambelli e Bucci avevano sapientemente saputo traghettare in ceramica e soprattutto in didattica, le spinte poetiche dell’Art Decò, che coinvolgeva tutte le cosiddette arti applicate, l’editoria, il tessuto, l’architettura ecc. E anche in quel periodo non mancano certo le intuizioni innovatrici mozzafiato, pensate alle reinterpretazioni modulari di morivi tipici della maiolica arcaica di settecento anni prima o delle zaffere in rilievo del XIV-XV Secolo.


BvnONS




Gli ultimi vent’anni, i giorni nostri.

Parlare dell’oggi è un po’ difficile per la necessità di omettere gran parte dei nomi, altrimenti, invece di un saggio sul Museo Campionario, bisognerebbe scrivere un elenco dell’ufficio anagrafe, tante sono lo opere raccolte negli ultimi vent’anni. (a occhi e croce circa 300 corrispondenti più o meno ad altrettanti autori). Teniamo conto inoltre, che se fino agli anni ’70 la collezione era quasi totalmente formata da sculture, piatti e vasi, a partire dal 1980, con l’istituzione dei Corsi di Perfezionamento, la ricerca artistica coinvolge appieno la produzione di piastrelle, pannelli autosufficienti a volte, e prototipi decorativi ipotizzabili anche su scala industriale in molti altri casi. Parlo brevemente subito di questo apporto. Esperienze originali nella progettazione e esecuzione di motivi decorativi realizzabili con tecniche seriali erano già state condotte qualche anno prima dal laboratorio condotto da Rolando Giovannini. Tra alcuni pannelli conservati in campionario, cito quelli di R. Celotti (matr. 2337) e E. Martelli (2323) eseguiti ancor prima dell’istituzione dei corsi, che costituiscono gli albori della fotomeccanica in ceramica. Queste opere affrontano energicamente il problema della difficoltà di ottenere serigraficamente delle sfumature (handycap che ha caratterizzato fortemente tutta la produzione industriale di piastrelle nel decennio precedente), con risultati molto piacevoli, anche se a quel tempo la definizione di stampa era ancora grossolana. Queste opere, nelle quali vediamo riprodotte perline di collane e fogli di carta increspata, possono essere considerate precursori della grande scelta che il design ceramico italiano compirà poi nei decenni seguenti: la simulazione, che ancor’oggi tiene banco in ogni fiera, con Km quadrati di finti marmi, finti graniti, finte cortecce, finti sassi, finti parquet e quant’altro la moderna precisione fotografica e le nuove tecnologie di stampa ci consentono. Il testimone dell’insegnamento delle tecniche serigrafiche viene consegnato poi a Raffaella Cricca, i cui allievi, seguiti anche da Paxia, Tampieri, ed altri docenti, producono una quantità enorme di prototipi.

In questo campo invece non si è affatto presuntuosi se si parla di ricerche d’avanguardia. Accade spesso che prototipi messi a punto in laboratorio o prodotti molto similari, si vedono poi nei vari Cer Saie di qualche anno dopo. Ciò accade perché frequentemente le tesi conclusive vengono proprio commissionate da imprese ceramiche e, a volte, eseguite anche direttamente in ditta. Citerò le prime marmorizzazioni ben definite realizzate da Antonio Caranti (matr. 3937), le bellissime colate vetrose su supporti strutturati di Alberto Grilli (matr. 3953), soluzioni grafiche molto originali di Mila Paja, innumerevoli proposte per l’arredo edile (corrimano, mensole, camminamenti, tozzetti, ecc.) Negli ultimi anni si sono distinte le ricerche sulla cottura di lastre basaltiche e decorazioni ottenute con l’impiego di sali solubili in materiali fortemente greificati con impiego quasi totale di cotture rapide effettuate in fabbrica; si staccano per precisione compositiva e qualità del prototipo gli elaborati di Silvia Valgimigli. Per il resto sono tantissime le proposte di soluzioni strutturate. In ultimo vorrei segnalare il lavoro di recupero di motivi decorativi musivi tratti dai mosaici di epoca romana del centro storico faentino, oggi conservati al Museo Archeologico. Questo lavoro di rilevamento e ritrasposizione su grande formato in gres porcellanato è stato effettuato da una intera classe del Corso di Restauro che con Sebastiano Paxia ha prodotto dieci grandi formelle strutturate: proposta di grande modernità che affonda le radici nei capolavori musivi di 2000 anni fa. Si conservano quindi opere plastiche eseguite nei laboratori sotto la guida di Cesare Ronchi prima e di Aldo Rontini poi, e parallelamente vengono inclusi manufatti tipicamente riferiti all’oggettistica che provengono dal corso apposito dove operano Augusto Betti, Mauro Tampieri, Luciano Liverani, Sebastiano Paxia, Antonella e Giovanni Cimatti, potendo contare sulla maestria dei foggiatori Sergio Soli e Oscar Maretti.

Continuando il curiosario tra gli scaffali dove sono riposte le opere plastiche e l’oggettistica mi imbatto in centinaia di manufatti; veramente un’impresa citarne solo alcuni rappresentativi: bisogna farlo. Alcuni servizi da the sono veramente da esposizione internazionale, sono pochi ma di gran gusto, tra questi segnalo il nome dell’allieva Lea Gheorg. Spostando ancora lo sguardo tra scaffale e scaffale , scorgo il bellissimo vassoio realizzato da Marcello e Roberta Penazzi nel 1985 con Augusto Betti, oggetto ancora validissimo. Roberta Morelli e Daniele Pagliei realizzano vasi in porcellana traslucida di assoluta raffinatezza. Uno di questi sarà infatti messo in produzione dalla Richard Ginori per anni. Maria Teresa Muratori realizza un vaso preziosissimo, di rara bellezza. Mi confessò personalmente che aveva macinato molte conchiglie per ottenere quello splendido rivestimento cavillato. Il corso di perfezionamento che frequentavano questi allievi (Perfez.Arte Maiolica) fu istituito allo scopo di dare agli studenti una adeguata preparazione per l’inserimento nel mondo dell’artigianato ceramico, e le loro ricerche spesso erano appunto mirate ad offrire nuove idee che fossero recepibili ed eseguibili nelle botteghe dei ceramisti. Non posso omettere quindi le proposte di Fausto Salvi del 1990, che, con i suoi boccali che ironizzano sulle famose “belle faentine” getta le basi di quello che sarà poi il suo orientamento artistico negli anni a seguito. Splendida la ricerca di quell’anno della studentessa milanese Marianna Gasperini, già proveniente dall’accademia di Brera, che utilizzando la tecnica Raku (rilanciata con passione dal prof. O. Maretti), lascia in campionario alcuni busti double face, che sintetizzano una concezione antica di tremila anni: l’interno e l’esterno dell’uomo, non sono mondi a sé stanti.

Le opere plastiche sono innumerevoli a testimone del lavoro intenso del laboratorio condotto per anni da Cesare Ronchi ed Aldo Rontini, che con le opere di campionario dei propri allievi, dichiarano in modo evidente la libertà di ricerca della quale ogni allievo ha potuto godere. Così se nella grande opera plastica “I Dormienti”, (1985) l’allievo Fabio Berti si richiama ancora fortemente all’insegnamento del maestro Ronchi, “Il Tamburino del diavolo” (1984) di Vasco Geminiani, il “Sole che sorge” di Cristina Fantinelli e ancor di più gli stivali leopardati di Silver Sentimenti e le “Scarpine di fata” di Sigrun Emilie Gorling (1989), ringraziano il maestro per l’insegnamento ricevuto, ma presentano percorsi completamente personali ed originali. Ricordo, sempre di quell’anno, le ricerche di Ignazio Sancez, artista basco, venuto da Pamplona, che per primo utilizzò programmi di computer grafica a scopo scultoreo, realizzando informaticamente dei decori che applicò poi alle sue opere, creando anche qualche borbottio nel suo corso. Moltissime pure sarebbero le opere plastiche da citare tra quelle eseguite sotto l’insegnamento di Aldo Rontini, ma anche qui mi limiterò ad alcune pietre miliari. Gli studenti giapponesi e coreani, che hanno frequentato assiduamente il laboratorio, la fanno da padroni: eccellenti le proposte di Aki Matsui (1984) che, non a caso, è vincitore del “Premio Faenza”, Sayoko Iwai (1982) lascia una enorme fogliona a soggetto celestiale, Sim Nam Young nel 1994, si distingue con la realizzazione di grandi busti in gres, e, negli ultimi anni le teste di Otsuka Mokichi rivelano una presenza artistica a scuola ben superiore al puro ambito scolastico. Infine Mirco Bravi, pescarese, nel ’95, con la sua opera che ricorda il moto ondoso, (s. 428) vince il primo premio al prestigioso concorso internazionale organizzato dalla Weedgvood. Gli ultimissimi anni sono troppo freschi per essere commentati anche se è chiaro che i temi trattati e le intuizioni di alcuni studenti sono sempre fertili e possono permettersi di affacciarsi al mondo delle gallerie d’arte contemporanea senza troppi complessi di inferiorità.

Il decoro di imitazione: insostituibile palestra di bel fare.

Le tante ceramiche conservate dipinte con decori di imitazione, non erano mai state ufficialmente incluse in Campionario. Probabilmente, essendo questo negli intenti ballardiniani, uno spaccato della ricerca artistica nella didattica dell’Istituto, non si era ritenuto che quello fosse il “posto giusto” per oggetti che, seppure di altissima esecuzione, sono copie di altri oggetti fatti secoli or sono, e per questo non si collocassero in questo ambito. Comunque sia, prevalentemente per motivi di sicurezza, alcuni anni fa, ho proceduto all’inclusione di queste opere nella collezione. Si sa bene che un pezzo marcato con un numero, che si riferisce ad una scheda, ad un registro di controllo, è assai più “sorvegliato” di uno anonimo, del quale è impossibile appurarne gli spostamenti, i prestiti, l’eventuale sparizione. Oltre a questa improrogabile necessità “amministrativa” c’è anche una scelta contenutistica. La pratica decorativa dell’imitazione, non è qualcosa “di cui vergognarsi”, come forse qualcuno può pensare, ma il contrario. Queste opere di eccellente fattura possono costituire, all’interno della collezione una isola a sé stante della quale possiamo essere fieri. Così si è ricucita una continuità documentata di questa pratica didattica: dal bellissimo piatto ritraente la Leda con Cigno (sch. inf. 406), e alcuni piattoni dipinti “a grottesche”, eseguiti alla fine degli anni ’20 dal Maestro Mario Zappi e da Maria Ghinassi, all’immensa produzione dell’officina di produzione realizzata da Maria Ghinassi e Maria Luisa Merini nei dacenni a seguito, della quale conserviamo alcune testimonianze importanti, alla produzione degli allievi di Anna Maria Biffi, che ha portato il testimone ricevuto da Zappi, fino agli ultimi anni. Basti per tutto citare le splendide riproduzioni di maioliche ad imitazione di modelli della manifattura abruzzese dei Grue, eseguite alla fine degli anni ’80, da G. Savini, per dimostrare che l’insegnamento della Biffi ha mantenuto ai massimi livelli la qualità dell’esecuzione del decoro tradizionale dei suoi allievi. Oggi, l’arte del decoro di imitazione, è prevalentemente circoscritta ai corsi di Restauro, che possono contare sulle capacità del prof. Roberto Fabbri, nominato proprio a succedere a quel po’ po’ di scuola di pennello che, nel tempo, avevano costruito Bucci, Zappi, Biffi. Ho visto alcuni pezzi realizzati anche negli ultimissimi tempi, che nulla hanno da invidiare a quelli sin ora decantati, basti pensare alla riesecuzione di pezzi a zaffera in rilievo, alle ricerche sul lustro islamico condotte in questi anni dallo studente egiziano Adel Haroun. Ma si tratta di produzioni freschissime, molto recenti, delle quali il Campionario non ha avuto ancora tempo di glorificarsi.
Il settore Tecnologico, sempre ai margini nel Campionario

Non c’è da meravigliarsi e tanto meno da scandalizzarsi. Il Museo Campionario fu istituito come raccolta di opere di pregio artistico. Il laboratorio tecnologico che fu condotto prevalentemente da Maurizio Korach negli anni ’20 e da Fulvio Ravaioli dal 1947 al 1983 ha prodotto migliaia e migliaia di “prove”, i piccoli coccettini che erano i test della sperimentazione condotta nel laboratorio su impasti, rivestimenti, colori. Va da sé che era improbabile che da questo laboratorio uscissero opere da campionario d’arte. Eppure saltuariamente, chi operava la selezione, ha sentito l’esigenza di introiettare anche coccettini di particolare importanza. Così a metà degli anni ’50, vengono accorpati al campionario, numerosi vasetti di modeste dimensioni, provenienti dal laboratorio tecnologico, significativi in tal senso (vedi anche nota 6). Ma a parte ciò, è più importante osservare le ripercussioni delle ricerche condotte nel laboratorio sulle opere di campionario. Le tecniche decorative che avevano caratterizzato la grande produzione Decò di cui ho già parlato, grazie alla perizia decorativa di Anselmo Bucci (smalti in rilievo, lustri metallici, dorature) erano puntualmente sperimentate nel laboratorio, dove lo stesso Bucci, coadiuvato dalle conoscenze del Korach, metteva a punto composizioni e prove preliminari. Nulla era lasciato al caso, e del resto, basta osservare la perfezione esecutiva di alcuni pezzi dell’epoca, per rendersene conto. (Non dimentichiamo che allora le basi vetrose utilizzate non erano acquistate esternamente ma realizzate a scuola, tramite operazioni di frittaggio che avvenivano in forni fusori, allora costruiti negli scantinati, dei quali ancor oggi resta qualche traccia strutturale).

Ma la ripercussione della sperimentazione del laboratorio tecnologico sulla produzione d’arte è documentabile in tantissime occasioni; solo alcuni esempi: gli impasti da gres, che diverrà il materiale plastico scultoreo principale negli anni ’60, (basti pensare a tutta l’opera di Carlo Zauli), erano stati accuratamente messi a punto nel laboratorio già dagli anni ’20, e lo testimoniano le bellissime piccole formelle conservate, della vasta produzione eseguita dal 1923 al 1931 per la realizzazione di un grande altare parallelepipedo. Albert Diato, lancia il gres a metà degli anni ’50 come materiale di pregio plastico artistico, superando la concezione comune che esso fosse adatto per piastrelle e per tubi da fogna. Ravaioli, lascia molti pezzi in gres nel campionario e vince un premio Faenza nel ’63. Già dall’inizio degli anni’50 Ravaioli e Sant’Andrea compiono studi sul famoso turchese degli egizi, sperimentando gli appositi impasti altamente silicei e i relativi rivestimenti. La bellissima ciotolina turchese custodita in campionario ne è un esempio brillante, ma questi studi potrebbero essere scaturiti anche dall’incontro con Mhoamed Cadrei, egiziano, approdato alla scuola faentina in quegli anni, che conosceva la produzione tipica del suo paese natio. La produzione bianciniana non è meno collegata al laboratorio: la grande annunciazione turchese che assegna il premio Faenza all’artista castellano, probabilmente ha attinto dalle ricerche condotte in laboratorio, forse ancor prima di Ravaioli. Del resto anche le vetrine cristallizzate su impasti di terraglia forte, che avevano caratterizzato la sua produzione di Laveno prima del periodo scolastico Faentino, erano state probabilmente già sperimentate in Istituto; comunque è certo che esse compaiono nei Quattro Evangelisti, conservati in campionario, eseguiti da Biancini nel 1955. Tipiche ricerche di laboratorio, come la messa a punto dei rossi al Cromato di Piombo negli anni ’50 e al Selenio più tardi, trovano puntualmente risvolti applicativi su pezzi di campionario.

Anche le famose vetrine a grosso spessore, fortemente cavillate, che hanno caratterizzato l’opera di ceramisti come Guerrino Tramonti, e sono presenti spesso in pezzi di campionario, anche negli ultimissimi anni, erano state sperimentate da Arnaldo Sangiorgi, allora allievo di Ravaioli, già a metà degli anni ’50. Anche l’utilizzo della porcellana emerge prevalentemente in campionario dagli anni ’70 in poi, in esempi di oggettistica di diversi allievi e nelle grandi foglie ad impasto colorato lasciate in Campionario dalla prof.ssa Lia Meandri, a coronare la sua lunga esperienza in materia. Non dimentichiamo quindi che la sperimentazione sulla porcellana è sempre stata presente nel laboratorio tecnologico, e oggi, che ci stiamo occupando della catalogazione delle prove raccolte da Ravaioli, ce ne rendiamo conto e la troviamo disseminata lungo tutta la storia della scuola. Negli ultimi dieci anni, ho provveduto io ad inserire in Campionario alcuni pezzi, pregevoli, non tanto per il risultato estetico finale, quanto appunto per l’innovazione nelle tecnologie esecutive. Tra questi vorrei segnalare i manufatti in cemento smaltato, realizzati negli anni ’70 sotto la guida di Vincenzo Mosca e Germano Ortelli, alcuni pannelli di piastrelle dei quali ho già accennato nei capitoli precedenti, alcuni manufatti eseguiti con rivestimenti fluorescenti e fosforescenti, eseguiti dall’allieva Alice Flacco nel 1993, con una tesi seguita dal sottoscritto, la bella stufa dell’allievo ticinese Martino Vassalli che, oltre ad essere esteticamente pregevole, è stata realizzata con impasto idoneo messo a punto in laboratorio dall’allievo, seguito dal sottoscritto e dal prof. Francesco Corbara. Voglio segnalare pure l’annessione al campionario di alcuni pannelli realizzati da allievi della prof.ssa Pieranna Manara, formati da mattoni laterizi smaltati ed altre soluzioni innovative per l’edilizia moderna. Non posso pure omettere la grande meridiana realizzata nel 1998 da Marica Grandi che riprende tecniche tipicamente decò nello stile di Bucci, con smalto bianco e decori blu in rilievo, ma, sorpresa, essendo progettata per l’installazione in esterno, di maiolica solo appare, perchè è eseguita in gres. Per finire, penso che anche in futuro l’aspetto tipicamente tecnologico, non sarà certo quello maggiormente rilevante nel Campionario, nel quale si dovranno però includere le pietre miliari, i manufatti chiave di alcune ricerche che non devono essere omesse. Per quanto riguarda la miriade di prove lasciate da Ravaioli, stiamo operando una schedatura dell’intero corpo (sono alcune migliaia) così da costruire un vero e proprio Campionario del laboratorio tecnologico. Ci vorranno anni, ma anche questo, un giorno, speriamo, potrà essere un archivio fruibile e utile a tutti.
Per finire

Sento spesso dire che sarebbe ora di esporre tutto questo po’ po’ di roba, che bisognerebbe creare dei percorsi guida al campionario, che bisognerebbe ridisegnare l’intera esposizione divisa per settori, che bisognerebbe acquistare espositori completamente nuovi perché le vetrine” storiche” sono superate, non sono a norma ecc., che bisognerebbe, bisognerebbe. Io credo che invece sarebbe del tutto inutile esporre 1800 pezzi, concentrare economie ed energie professionali in tal senso. Certo, un conto è osservare un’opera, altro conto è vedere una foto; per questo è importante che ci si orienti sempre di più verso un futuro di musealizzazione del Campionario, scegliendo accuratamente il materiale da esporre. Ma ora è assai più utile finire la schedatura, renderla fruibile, renderla produttiva, culturalmente, didatticamente. Chiunque potrà consultare un CD, nel quale i 1800 pezzi sono tutti inclusi, con tutte le notizie di cui si è in possesso su ognuno di loro. Sarebbe molto interessante, ora che il grosso del malloppo è fatto, prevedere delle mostre a tema, a settori, a periodi, poter così rendere giustizia anche a molte di quelle proposte, pregevoli e sconosciute, che per decenni sono rimaste in qualche scaffale polveroso delle cantine, in qualche anfratto di magazzino e nessuno ha mai visto. Ceramiche che aspettano di essere guardate e possibilmente studiate. Vi garantisco che ce ne sono tante.



Note:

1) Film del regista spagnolo Sergio Cabrera (1993) nel quale si narra di un gruppo di inquilini sfrattati da un caseggiato,

che, operando una strategia di micro spostamenti dilatati nel tempo, e inosservati, se ne vanno, ma si portano via la

casa.


rMIDQs




2) “La Scuola dei Maestri”, catalogo dell’omonima mostra, Gruppo Editoriale Faenza Editrice s.p.a., Settembre 1995,

pag. 146, con interventi di (in ordine di pubblicazione): Rolando Giovannini, Carola Fiocco, Gabriella Gherardi,

Marco Tadolini , Gian Paolo Emiliani, Anna Maria Lega, Antonella Cimatti, Giovanni Cimatti, Aldo Rontini.

3) “Domenico Rambelli e la ceramica alla Scuola di Faenza- Anselmo Bucci e la ceramica d’atelier” , di Maria Grazia

Morganti, Firenze -Centro D Edizioni, 1989, pag .

4) Dal primo anno scolastico viene redatto il Registro delle Matricole, con numerazione progressiva. Da allora

l’immatricolazione non cesserà mai sino al corrente anno scolastico 2003/2004, giungendo a quota……. iscritti.

Non è raro trovare studenti immatricolati due o più volte: ciò dipende da una prima iscrizione alle scuole inferiori

(un tempo annesse all’istituto) e ad una successiva alle superiori; oppure a ritiri e successive reiscrizioni a scuola.

5) Anselmo Bucci poteva contare sulla competenza in materia dell’ingegnere ceramologo ungherese Maurizio Korach,

a cui Ballardini aveva affidato già dall’inizio la direzione del laboratorio scientifico tecnologico. Egli aveva studiato

al politecnico di Budapest sotto la guida del chimico ceramista Vince Wartha, sperimentatore dei famosi lustri della

prestigiosa manifattura Zsolnaj di Pech.

6) A conferma di ciò, tra le varie prove del laboratorio tecnologico, introiettate in campionario a metà degli anni ’50, ci

sono alcune foglie in gres smaltato, da sempre attribuite a Diatò. Non c’è insegnante della scuola, tra i ceramisti, che

vedendole non le riconosca come “le foglie di Diato”, data la loro stilizzazione inconfondibile.

Ma se guardiamo dietro alle foglioline, vediamo apposte con chiarezza e a fuoco, le iniziali G.V. E’ probabilissimo

che si tratti di una siglatura autografa del dott. Gastone Vecchi, che testimonia la frequentazione del laboratorio

tecnologico da parte dell’artista monegasco. E’ probabile quindi che egli abbia modellato le foglie di cui poi Vecchi

ha messo a punto i rivestimenti.

Edited by agosalsedo - 25/8/2021, 19:41
 
Web Contacts  Top
0 replies since 2/4/2012, 10:19   1829 views
  Share